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Emigranti italiani in Russia

La Russia è il più vasto Paese al del mondo per estensione, la sua dimensione supera di ben 74 volte quella dell'Italia, nonostante ciò allo stato attuale (2008), gli italiani ufficialmente emigranti in Russia sono per numero circa 10 inferiori rispetto ai Russi emigrati in Italia, questo puro dato statistico rispecchia quelle che sono le politiche migratorie adottare tra i due paesi che assolutamente non impiegano condizioni reciproche cosicché l’emigrante italiano in Russia si vede di fatto costretto in una situazione vessatoria nei suoi confronti, è altresì curioso constatare che il numero dei clandestini di nazionalità russa in Italia – nell’ordine della 10 mila unità (fonte Caritas 2007)  –  è stimato essere maggiore di quello degli esigui emigrati Italiani residenti in Russia che risulta essere nell’ordine delle 5 mila unità, ma non tutti sono emigranti, tra le fila degli iscritti AIRE figurano anche donne russe che dopo essersi coniugate con italiani, hanno acquisito la cittadinanza italiana e oltre a ciò occorre precisare che allo stato attuale gran parte degli iscritti AIRE di fatto non sono più permanentemente residenti per via della introduzione del limite massimo di 90 giorni di permanenza anche per chi soggetto al visto (accordo che ironicamente si chiama “della facilitazione dei visti tra UE e Russia”!, e di fatto rispedisce in patria un gran numero di italiani). Sul versante invece opposto, al dato ufficiale degli stranieri Russi emigrati in Italia che conta ben 34 mila unità (fonte Ministero degli Esteri anno 2006), vanno aggiunti gli oltre 10 mila russi che avendo acquisito la cittadinanza italiana, non figurano più nelle statistiche inerenti gli stranieri.
Pochi sanno che il monumento simbolo della Russia – il Cremlino –, fu progettato e realizzato da un architetto italiano di nome Ridolfo Fioravanti a partire dal 1474. Agli occhi dei russi ora e al cospetto dei sovietici prima, quel monumento, portato a compimento con un duro lavoro durato più di trent'anni, risulta essere di notevole importanza. Le immense e fredde lande russe non hanno impedito una cospicua migrazione italiana. A incominciare dal 1600, innumerevoli connazionali, spesso coperti di onori e di ricchezze, hanno prestato i propri servigi presso le corti di Mosca e di Pietroburgo, lasciando tracce tutt’oggi ben visibili della loro competenza nell'architettura, nella tecnica e nelle arti.
Il flusso migratorio più consistente si sviluppò più tardi, nella seconda metà dell'Ottocento.
Il primo italiano di cui narrano le antiche cronistorie di Mosca fu un fonditore di campane che andò in Russia assieme ai fratelli Andrea e Giovanni e in seguito abbracciò la fede ortodossa con il nome di Boris.  Notizie certe si hanno con Ivan III: Condizionato dalla moglie Sofia, nipote dell'ultimo imperatore bizantino ed educata a Roma, invitò in Italia numerose delegazioni per portare in Russia costruttori e mastri italiani.
Un arrivo consistente di mastri operai italiani in Russia si ebbe quando incominciò la costruzione della linea ferroviaria che, percorrendo le montagne del Caucaso, doveva collegare Poti e Batumi, proseguendo per Tbilisi e Bacu, raggiungendo quindi le sponde del Mar Caspio. Italiani sono stati capomastri, scalpellini e manovali (in maggioranza lombardi, piemontesi  e veneti), che tra il 1867 e il 1902, hanno costruito tratti rilevanti della linea ferroviaria. Molti di loro si sono successivamente trasferiti nella Manciuria dedicarsi alla realizzazione di ponti e gallerie lungo la linea ferroviaria della Transiberiana, tali opere sono ttt’ora visibili.

Accanto alle tracce profonde lasciate in Russia dagli artisti italiani, merita di essere ricordata la presenza attiva dei genovesi nella città di Odessa. I nostri connazionali dominavano il commercio al punto che la lingua italiana era parlata anche dalla popolazione locale. Da sottolineare che il porto di Odessa venne realizzato da un migliaio di italiani, giunti quando Giuseppe Ribas fu nominato “Capo della città” con pieni poteri.
E' documentato che nell’800 molti italiani giunsero in Russia trovando impiego nel mondo dello spettacolo, è scritto che alcuni rievocavano le avventure spassose delle maschere italiane. Le grandi città della Russia ospitavano anche comunità stabili formate da commercianti, artisti e uomini d'affari, concentrati a Mosca, San Pietroburgo e Odessa.
Durante la Russia zarista, Gruppi di lavoratori friulani giunsero regolarmente in Russia, per mettersi a disposizione di impresari in cerca di operai, salpavano in massa all'inizio della primavera, con i ferri del mestiere che pendevano dalla cintura o dalle spalle, tanti finivano in borghi sperduti, a tagliare tronchi, costruire isbe per i Mongoli, i Tartari e i Kirghisi, altri lavoravano alla realizzazione della Transiberiana, alle dipendenze dello Zar Nicola II di Russia.
Lo Zar era soddisfatto di come avanzavano i lavori (finiti nel 1890) e aveva promesso a coloro che avevano contribuito alla realizzazione della immensa opera che avrebbero fatto un viaggio gratis lungo tutto il tragitto.
La situazione subì una mutazione radicale con la prima guerra mondiale e soprattutto in seguito alla salita al potere da parte dei bolscevichi.  Circa 3.000 italiani sono furono costretti a rientrare in Italia dopo aver perso tutti i loro averi, coloro che scelsero di rimanere in Russia vissero un'esperienza drammatica o addirittura fecero una tragica fine. Centinaia di italiani avevano origini incerte, erano defezionisti, prigionieri di guerra desiderosi di essere dimenticati, in mezzo “galleggiavano” toccanti rottami quali ex-maestri di ballo, di canto e di scherma, musicisti, acrobati di circo, titolari di concessioni minerarie e qualche decina di fattori lombardi e veneti che prima della guerra, riuscirono a creare importanti aziende agricole poi espropriate. Durante la seconda guerra mondiale il governo sovietico intensificò i controlli e le repressioni. Il 1944 fu un anno orribile, i nostri connazionali di origine pugliese, discendenti di una antica colonia fondata nel settecento, al tempo della zarina Caterina e che abitavano in Crimea, accusati di tradimento, furono sradicati dalla loro terra, si trovavano in una cittadina chiamata Keré dove svolgevano l’impiego di vignaioli e si dedicavano alla cura degli oliveti.  Ebbene, questi italici incolpevoli furono deportati in Siberia per ordine di Stalin e abbandonati in mezzo alla steppa, dove perirono di fame e di stenti.  Quanti furono?  Dagli ultimi accertamenti risulta che furono condannati non mille italiani come si suppose inizialmente, ma mille famiglie, comprese donne, vecchi e bambini. Il loro numero, di conseguenza, risulta decisamente maggiore alle prime ipotesi.
A incominciare dal 1890 molti dei nostri emigrati presero parte alla realizzazione della Transiberiana unendo, dopo più di 9.000 chilometri, Samara a Vladivostok posta nell'Estremo Oriente.
I viaggiatori che oggi raggiungono la stazione finale trovano ancora una insegna che rammenta il lavoro degli italiani che hanno preso parte all'epica impresa. Sono stati i lavoratori che hanno voluto lasciare ai discendenti questa testimonianza.
I friulani impegnati nei lavori di realizzazione della Transiberiana, nel giorno festivo si sentivano soli e smarriti, qualcosa di trascinante li chiamava verso la chiesa, anche se le liturgie erano differenti. Dopo la messa si fermavano nella piazza, mescolandosi con le persone autoctone quali potevano essere contadini, boscaioli e cacciatori. D'istinto volevano che essere accolti, che vedessero che stavano con loro e che facevano parte del paese. Era l'embrione di una nuova comunità, nascente in una terra lontana, il segno che non erano del tutto fuori dal mondo e che Dio non li aveva scordati.
Dopo la scomparsa di Stalin (1953) la politica oppressiva del governo sovietico subì un arresto, diverse imprese italiane, piccole e medie, misero piede nell'Unione Sovietica tra cui la FIAT che colse di tutte sorpresa le più grandi aziende automobilistiche sia europee che degli Stati Uniti, la famiglia Agnelli instaurò nell’impero sovietico una grande fabbrica, da Torino giunsero ingegneri, operai e apparecchiature di ogni genere, nel contempo sorsero centinaia d’imprese miste italiano-russe.
Purtroppo la storia dell'emigrazione italiana in Russia si configura come una vicenda carica di soprusi e veemenze di ogni genere, il flusso migratorio benevole di un numero rilevante di ingegneri, architetti, lavoratori e pacifici agricoltori benché inizialmente non solo fu ben accetto ma addirittura incentivato, di norma ha sempre finito per essere in un secondo tempo ripudiato: La Russia vanta colossale esperienza nell’attrarre in maniera allettante l’italiano per poi annientarlo fagocitando i suoi contributi intellettuali, artistici e persino i suoi beni, e a questo punto la storia sembra nuovamente ripetersi a incominciare da quando la “perestrojka”, – avviando importanti riforme economiche e politiche – diede spazio alla speranza come diede anche l’opportunità ai cittadini italiani di trasferirsi in Russia, dove per via di una legislazione benevole nei confronti degli stranieri con obbligo di visto, venne concesso inizialmente di poter permanere in Russia senza il limite previsto di massimo 90 giorni (limite che invece veniva riservato a chi non soggetto a visti), per poi cambiare repentinamente le carte in tavola a giochi fatti, “fregando” tutti i piccoli investitori italiani, che in Russia non lavorando e tantomeno non essendo sposati, non hanno più alcun modo per regolare legalmente la propria posizione di immigrati e sono quindi costretti ad abbandonare il Paese.
Gli italiani – purtroppo – fin al tempo degli Zar, come anche durante l’era sovietica hanno dato un contributo utile al Paese, senza tuttavia che venissero loro garantite eque condizioni, la società russa è assai diversa da quella italiana, a farne le spese troviamo anche “cervelli” illustri come Bruno Pontecorvo e Roberto Oros di Bartini.

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